Impatto sulla società
Ogni impresa economica, sia essa agricola o no, ha un impatto sulla società e sull’ambiente del territorio in cui si trova. Il senso etico e la cultura della legalità possono fare la differenza tra un impatto positivo o negativo.
Cerchiamo di fare parte di quella Sicilia che si impegna a lavorare in maniera seria, etica ed onesta. Lavoriamo tenendo in massima considerazione le implicazioni ambientali delle nostre scelte produttive, privilegiamo l’impiego di materiali agricoli biodegradabili, smaltiamo i rifiuti correttamente dopo averli differenziati, vigiliamo sul territorio denunciando e segnalando i reati ambientali che osserviamo, facciamo del nostro meglio per diffondere la cultura del rispetto per l’ambiente e della legalità.
Cerchiamo di impiegare con buonsenso le risorse economiche pubbliche che ci vengono affidate e coltiviamo con il massimo senso di responsabilità e moralità, sempre e comunque.
Legalità ed etica del lavoro
Da quando le risorse della vendita diretta ce lo hanno permesso, abbiamo investito per diversificare le nostre attività produttive, creando impiego anche in periodi che in passato erano “fermi” (rispetto alla produzione agrumicola). Questo ci ha permesso di dare continuità all’impegno dei nostri collaboratori, passando da forme di assunzione stagionale ad assunzioni a tempo indeterminato. Nell’ultimo anno abbiamo sottoscritto 7 contratti di questo tipo. Nel periodo di raccolta o di lavori straordinari integriamo la manodopera con braccianti stagionali (da 4 a 6) regolarmente assunti e retribuiti. Sosteniamo a testa alta tutti i costi della legalità anche e soprattutto grazie all’attenzione di chi riconosce il valore etico e sociale (oltre a quello alimentare) di ciò che facciamo..
Per comprendere il significato che questi aspetti hanno nel territorio in cui viviamo, è necessario avere presente che, soprattutto nel meridione d’Italia, il concetto di legalità è molto relativo. Perchè le comunità tendono ad autoregolarsi basando i propri comportamenti su consuetudini e costumi non necessariamente coincidenti con quelli imposti dalla legge; ed ancora, perchè lo “Stato” non sempre è percepito come un sistema di cui si è parte, ma piuttosto come un’entità esterna e talvolta estranea; ed infine, poichè così come il resto dei cittadini, anche parte dei funzionari pubblici manca di senso dello Stato e spesso non fa il proprio dovere fino in fondo o peggio, esercita il proprio potere in maniera arbitraria.
In un contesto del genere il concetto stesso di legge, inteso come sistema atto a regolare il nostro modo di convivere e lavorare, si deforma. Talvolta le leggi si piegano alle consuetudini diventando invisibili e creando una dimensione di illegalità tollerata, altre volte vengono applicate in maniera discontinua ed arbitraria perdendo la loro caratteristica fondamentale, quella di essere uguali per tutti.
In questo modo la cultura della legalità non riesce a mettere radici e per lo più si manifesta come reazione ad improvvise ondate repressive, attuate per rastrellare risorse o per dar seguito a messaggi politici temporanei ed estemporanei. In altri casi invece la scelta per la legalità diventa un scelta di coscienza, attuata individualmente ed a proprio discapito da chi ne sente l’esigenza.
In ambito agricolo e rurale la questione della legalità riguarda sopratutto i temi dell’ambiente, delle sovvenzioni pubbliche e del lavoro.
Ambiente e responsabilità
Per quanto riguarda le questioni ambientali, è da mettere al primo posto il problema dell’abusivismo edilizio e della scarsa tutela di terreni utili all’agricoltura ed invece destinati ad altri scopi senza una pianificazione coerente. Nel primo caso una passione per il mattone, quella dei nostri concittadini, che raramente riguarda un’esigenza abitativa fondamentale, ma piuttosto il bisogno di possedere una moltitudine di case (una in paese, una al mare ed una in campagna). Questo ha un impatto ambientale non indifferente, sia per la cementificazione in sé che ne deriva, sia perché contribuisce a creare degli agglomerati urbani “stagionali” rispetto ai quali le amministrazioni non sono in grado di offrire infrastrutture e servizi adeguati e che quindi comportano fenomeni di degrado direttamente collegati. Per non dire quanto sia triste vedere che le aree industriali in disuso vengono abbandonate al degrado, mentre terreni agricoli fertili e produttivi vengono spianati per costruire nuovi capannoni industriali e piattaforme logistiche…
I rifiuti sono un altra manifestazione della mancanza di legalità nel mondo rurale e non. E’ un problema in primo luogo culturale che è possibile definire come semplice mancanza di amore per il proprio territorio. Di frequente vediamo persone che vengono nella contrada in cui viviamo per una passeggiata, per raccogliere lumache o erbe selvatiche, e che prima di rimettersi in marcia per tornare a casa svuotano la macchina di ogni rifiuto, abbandonandoli sul ciglio della strada. Talvolta riusciamo a risalire agli artefici di questi piccoli delitti ambientali frugando tra i rifiuti e trovando traccia della loro identità. Quando li chiamiamo minacciando una denuncia sembrano spaesati, totalmente incoscienti del fatto che possano aver fatto qualcosa di male, al di la della possibilità di aver potuto commettere un reato punibile per legge. Queste barbare abitudini, come il banale lancio del pacchetto di sigarette vuoto dall’auto in corsa, hanno in realtà un forte impatto sull’ambiente, poiché in un ambiente già contaminato, anche chi avrebbe un minimo di scrupolo si fa meno problemi ad aggiungervi il suo, tanto è già sporco.. Dal pacchetto di sigarette al frigorifero rotto, al cumulo di materiali di risulta della piccola impresa edile, il passo è (ahimè) breve. All’interno delle aziende agricole (e non solo agricole) la gestione dei rifiuti non è meno pericolosa. Imballaggi in cartone e plastica dei fitosanitari, fitocelle in polietilene, tubature in PVC, teloni per coperture di tunnel e serre, teli pacciamanti, pneumatici logori, macchinari obsoleti, olii esausti, batterie esaurite, kilometri di lacci agricoli.. Tutti materiali di scarto generati da un modo “moderno” di fare agricoltura che nella maggior parte dei casi vengono bruciati sul posto, interrati, macinati nel terreno come fossero erba da sovescio. Questo si aggiunge al potere inquinante delle sostanze fertilizzanti, pesticidi, diserbanti, facendo dell’agricoltura un’attività potenzialmente devastante per l’ambiente.
Rispetto al tema dei finanziamenti pubblici all’agricoltura (di cui noi stessi beneficiamo) mi limiterò nell’esprimere un opinione, perché ho troppe poche competenze per entrare nello specifico. Dico solo che trovo sbagliato il modo in cui l’agricoltura viene sostenuta. Trovo che questi interventi di finanziamento siano causa di una grave distorsione culturale, prima ancora che economica. Trovo che coltivare arance ed averle pagate per mandarle a “scafazzare” sotto i cingoli delle ruspe, sia immorale, così come lo è possedere un uliveto e non coltivarlo, non curarlo, non raccoglierne i frutti perchè tanto: “mi basta prendere il contributo”. Ritengo che acquistare macchinari non necessari, realizzare opere e strutture sovradimensionate, che magari non entreranno mai in funzione perché: “tanto sono finanziate” non sia segno di buonsenso ed ho sempre più l’impressione che quello che dovrebbe essere il mezzo per permettere all’imprenditore agricolo di realizzare il suo progetto, diventi invece il fine. Ottenere il contributo. Questo discorso, come dicevo, contribuisce a creare una distorsione nella cultura del fare impresa, che invece potrebbe essere stimolata in altre maniere, ad esempio, molto banalmente, usando queste risorse per alleggerire la pressione fiscale sul lavoro e sui lavoratori, permettendo all’imprenditore di risparmiare quanto necessario a realizzare autonomamente gli investimenti che ritiene prioritari, nei tempi e nelle modalità che ritiene più opportuni, prendendosene la piena responsabilità economica.
Il tema del lavoro è probabilmente il più importante, visto che questo è ciò su cui dovrebbe fondare la nostra Repubblica. I fatti di Rosarno del 2010 (WIKIPEDIA L’internazionale, storiemigranti ) misero in evidenza (sui media) qualcosa che tanto nascosto non poteva certo essere viste le dimensioni di questo fenomeno nel settore agricolo. Ovvero quello dello sfruttamento, della diffusa illegalità e mancanza di rispetto verso la dignità umana. Di fronte alle sfide del sistema globale che inonda i mercati di merci a basso costo frutto di sfruttamento e sistemi produttivi senza regole, reagire tollerando la creazione di zone franche dentro i nostri confini in cui sia concesso sfruttare degli esseri umani è inaccettabile. Chi fa le leggi non può rendersi complice di una simile logica: intrappolare in una condizione di schiavitù degli individui “rei” di non essere cittadini italiani, rendendoli ricattabili e sfruttabili, privi di ogni tutela e garanzia, colpevoli a priori. Il tutto sapendo che sarà la criminalità a fare da padrone in questo gioco disumano. Un imprenditore, pur avendone la possibilità non deve cedere a simili espedienti per sostenere la propria impresa, se non per motivi strettamente morali, deve tenere ben presente che il conto per simili ingiustizie e crudeltà prima o poi ci verrà presentato. Ma lo sfruttamento dei “clandestini” non è la sola piaga del mondo del lavoro agricolo, ce ne sono molte altre, meno eclatanti, ma non meno gravi. Ci sono fenomeni che agiscono molto più subdolamente, minando la cultura stessa del lavoro, intesa come diritto di ciascuno e come dovere sociale, creando una crepa che si unisce a quella della mancanza di cultura della legalità, alla sfiducia nelle istituzioni, alla mancanza di senso di appartenenza alla collettività e diventa alla fine una voragine morale che non possiamo ignorare (se non vogliamo che vada tutto in frantumi). Queste piccole crepe sono migliaia, ma vorrei portarne ad esempio una tra tante. Il sussidio di disoccupazione. Un operaio agricolo stagionale che lavori non più di 180 giornate l’anno ha diritto ad un sussidio integrativo. La cosa di per se non sarebbe negativa se non fosse il punto di partenza di un meccanismo contorto e perverso. Il lavoratore attratto dall’elemosina statale si fa artefice della propria precarietà accettando di lavorare in nero metà dell’anno nella stessa o in altre aziende. Il datore di lavoro alleggerisce così la propria azienda da molti dei doveri che lo legherebbero al dipendente (e dei costi che ne deriverebbero), a volte, a fronte di questo “favore”, alleggerisce anche la busta paga. In questo frangente i sindacati dei lavoratori che curano le pratiche di disoccupazione si garantiscono una cospicua trattenuta sindacale oltre che un ruolo sociale agli occhi dei lavoratori nella cura dei loro “diritti”. La precarietà cresce, alimentando uno dei pilastri su cui fonda il nostro sistema politico clientelare, accontentando a questo punto davvero tutti, allargando le crepe di un sistema tenuto insieme non so da cosa, se non dalla complicità di tutti gli attori.
Mi piacerebbe se queste riflessioni si unissero a quelle di un diffuso pensare comune, ad una presa di coscienza collettiva. Dovremmo prenderci le nostre responsabilità e comportarci di conseguenza nell’agire di tutti i giorni. Non c’è gesto o abitudine che non abbia, anche se minimo, un effetto sull’ambiente o sulle persone che ci circondano. Possiamo puntare i nostri indici contro tutti i politici del mondo, avremo sempre qualcuno più meridionale di noi a cui attribuire la colpa della disoccupazione e qualcuno più nordico da additare come cinico sfruttatore.. ma finché non tireremo fuori la testa dalla sabbia e non faremo i conti con la nostra stessa mediocrità, dubito che il futuro potrà offrirci grandi possibilità di cambiamento (in meglio..).
Andrea Valenziani